Tempo di lettura:
9h 26m
Editore: Nutrimenti
Anno: 2009
Lingua: Italiano
Rilegatura: Brossura
Pagine: 283 Pagine
Isbn 10: 8895842405
Isbn 13: 9788895842400
Il cielo della Louisiana assomiglia al cielo del Vietnam, nel West Bank del Mississippi ci sono bayou dove acqua e terra convivono in un equilibrio delicatissimo, e sembra di stare nel delta del Mekong. Moltitudini di profughi e di emigrati vietnamiti dopo la presa di Saigon da parte dei comunisti, nel 1975, si sono riversati in un territorio che facilmente è diventato il loro. Sradicati, trapiantati, eppure rinati e rivitalizzati. Alcune zone di New Orleans, cittadine come Lake Charles e Versailles non sono di certo l’America, le loro vie assomigliano piuttosto alle strade di Saigon o di Hanoi, a stento si trovano cartelli in inglese. Il Vietnam è anche lì, la diaspora vietnamita prosegue tiepida, Nord e Sud, buddhisti e cattolici, i vietnamiti operosi e quelli pigri, quelli freddi e impenetrabili, quelli con il cuore negli occhi. E vietnamiti tutti di un pezzo, donne con i loro aó dài, case con l’altare per gli antenati, odore di incenso, di cibo speziato, fantasmi, un placido senso del perdono; ma anche vietnamiti americanizzati orgogliosi anzi desiderosi di essere chiamati americani, e i figli di tutti questi, loro sì americani e basta.
Non c’è nulla di esotico, nulla di manierato, nessuna esibizione folkloristica nella prosa di Butler. Egli è piuttosto un medium che dà voce alle voci, ne ripropone il vibrante ricordo, la toccante urgenza di confessione. Perseguitati dal proprio passato e vittime silenti, tormentati nei confronti dei loro ospiti americani, questi emigrati immaginari cercano una tregua per le loro guerre personali, e grazie a Butler le loro storie inondano di luce territori oscuri e spesso ghettizzati in rappresentazioni stereotipate.
"Tutti e diciassette i narratori dei racconti sono creature del mio inconscio”, ha affermato una volta Butler, e sembra che il suo sia un atto di fraternizzazione, forse di identificazione, di condivisione di quello che Jung chiama l’inconscio collettivo.
Cosa rimane? La stessa identica distanza tra la nostra cultura e la loro, ma l’eco di quelle voci e il loro rapporto con il passato, il loro tempo immobile inducono a una riflessione sul nostro tempo, sul nostro passato. Quando non si può tornare indietro si può sempre accendere una lanterna di carta di riso in una notte buia, guardare il cielo e ricordare.
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