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Naksh-i-dil guardava dalla finestrella i sereni orizzonti dell'Asia. Le ombre aggraziate delle fontane e delle arcate tracciavano disegni sui muri. I profumi dei giardini riempivano l'aria pervadendo tutto il suo corpo, come poteva fare soltanto il profumo delle notti nelle Antille, e risvegliando tutta l'angoscia voluttuosa della sua cattura. Per la prima volta la creola che ora si chiamava Naksh-i-dil pianse. Capiva che quella era l'ora per misurare, con orrore disperato, la distanza che la separava dal potere di cui era schiava. La forza che toglieva ad uno la libertà, all'altro il dono della favella, a un altro la forma umana e dava tutto ad un uomo solo: il sultano.
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