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Concepito come un romanzo mondano, Eros segna il primo distacco di Giovanni Verga dal mondo letterario e morale della sua giovinezza. Un Verga preverista, quindi, che condanna la società aristocratica del suo tempo, la decadenza dei costumi, e lo fa attraverso il racconto delle turbolente vicende amorose del marchese Alberto Alberti: un eroe incapace di amare ma che esige di essere amato, una figura tormentata e alla ricerca dell’irraggiungibile. I contenuti dell’opera la assimilano a una tragedia, cadenzata da una serie di morti che costellano la vita di Alberti e percorsa dalla funesta relazione, priva di alcun orizzonte di felicità, con colei che sarà sua moglie. Così nell’epilogo, “l’apparente trionfo di eros rivela il suo speculare risvolto in thanatos” e il romanzo finisce col rappresentare non l’amore bensì l’incapacità di amare e insieme l’incapacità di Alberti – specchio di un intero sistema sociale e valoriale – di vivere la vita da intellettuale a cui aspira.
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