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                  Se da un lato il lampo accecante del suo sogno gridava al pericolo, 
dall’altro simboleggiava ovviamente anche la liberazione di un’enorme 
riserva di energia coatta, un’esplosione potentemente rivelatoria. 
Infatti i quadernetti della giovinezza di Anaïs Nin avevano assunto, nel
 1965, proporzioni massicce. Accumulati per mezzo secolo, spostati da 
Louveciennes al Greenwich Village, a dei contenitori di provviste a San 
Francisco, a Los Angeles, quasi persi in Europa nel tumulto della 
seconda guerra mondiale, ora riempivano due schedari a cinque cassetti 
in una camera di sicurezza di una banca di Brooklyn. Il grosso mucchio 
di materiale, con i suoi pesanti segreti, il peso emotivo del suo 
contenuto,stanzioso. Talvolta Anaïs Nin rimane sconcertata dal contrasto
 tra il mondo esterno reale e le sue percezioni. “Quando incontro queste
 stesse persone nella realtà , per caso, non riesco a capire o a 
ricostruire l’amore, l’amicizia, lo scambio e i legami tra di noi. Gli 
incontri sono privati dell’incandescenza luminosa che avevo presentato 
nel diario.” La magia, apparentemente, deriva spesso dai riflessi 
dell’incontro, dall’intensità  delle sue percezioni, piuttosto che dai 
fatti stessi.
«Combatto una guerra costante contro la realtà », 
ammette Anaïs Nin. Il Diario è il suo unico ponte verso «la vita 
terrena», il suo unico legame con un mondo che non è di sua fattura.
                
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