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Casa d'altri e altri racconti (1)

Silvio D'Arzo

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Editore: Bompiani

Anno: 2020

Lingua: Italiano

Rilegatura: Brossura

Pagine: 352 Pagine

Isbn 13: 9788830102965

“Quello che mi salva, è la letteratura, cioè la lingua, è Casa d’altri di Silvio D’Arzo.” Valeria Parrella Ezio Comparoni, alias Silvio D'Arzo, è un outsider, un autore di nicchia – e da quella nicchia amatissimo –, un uomo e l’ombra del suo doppio. A quello che ancora per molti è un illustre sconosciuto dobbiamo alcuni tra i racconti più significativi della nostra letteratura, i più maturi dei quali compongono questa silloge. A unirli a doppio filo la guerra, vissuta, rimossa o cicatrizzata, con le sue conseguenze materiali, umane e sociali che incombono su soldati in marcia, ricche donne in attesa dei mariti al fronte o giovani reduci costretti a ricorrere a espedienti abietti per tirare a campare. Punto focale della raccolta è Casa d’altri, definito da Eugenio Montale “un racconto perfetto”: è la storia di una domanda: quella che Zelinda, donna anziana e sola che si procura di che vivere lavorando come lavandaia, tenta di porre al prete del villaggio. Questa piccola gemma offre al lettore un vero giallo esistenziale, ancor più sconvolgente per il suo minimalismo. Uno sguardo tagliente e umano a ciò che è più difficile vedere. Perché, come scrisse lo stesso D'Arzo, “quando si vive in quel modo inumano e impossibile, il mondo non è più casa nostra: è ‘casa d’altri’ ”.

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Due parole in croce

Mi sono approcciata a “Casa d’altri” secondo la logica del sillogismo aristotelico: 1. ritengo Montale il “poeta perfetto” 2. Montale definisce “Casa d’altri” il “racconto perfetto” 3. per comunanza di spirito, ci sono forti probabilità che anche io possa considerare “Casa d’altri” quanto di più vicino ad un “racconto perfetto” Un po’ come il detto “gli amici dei miei amici sono miei amici”, che poi altro non è che una regola algebrica. Ma tralasciando la logica, i giochi di parole e il divertissement, ciò che ci regala Silvio D’Arzo - uno che coi nomi amava giocare, confondere e nascondere (se stesso in primis) - è una storia sviluppata in 15 brevi capitoli, ambientata in un piccolo paese emiliano in cui di fatto nulla accade, se non la vita: una vita comune, che incede al passo lento e ripetitivo delle stagioni, senza grandi cambiamenti, senza scossoni, fatta di gente umile che nel loro esistere poco si differenzia dalle bestie. Un paese in cui si nasce, si lavora, si fatica, si muore, con una cadenza regolare e rituale e una immutabile rassegnazione. In questa realtà seguiamo l’incontro di due anime, quella del parroco del paese (“un prete da sagre”) e di Zelinda, una vecchia che - per sua stessa definizione - fa una vita da capra. Ed è dai loro brevi, sporadici incontri, dagli scambi di poche parole e di molti sguardi e silenzi, che nasce una narrazione pregna di Storia, di umanità, di anime dense, di domande a cui né ragione né fede sanno rispondere. È una pepita d’oro questo racconto, pubblicato postumo nel 1953, e che a fasi alterne è stato prima ignorato, poi incensato, dimenticato e finito per essere un trofeo da esibire a pochi estimatori. Ridiamogli la gloria che merita, e un piccolo riflettore ad esaltarne la “perfezione”.

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